Le esperienze del kamaloca e la formazione della nostra autocoscienza.

O.O. 234 – Antroposofia – Alcuni aspetti della vita soprasensibile – 10.02.1924


 

Nell’attimo in cui, attraversando la porta della morte, entriamo in un’altra vita,

in quell’attimo siamo ricolmi di quanto è rappresentato in quel panorama di vita

che è fatto di sole immagini, immagini che vanno prospetticamente fino alla nascita e oltre.

 

Ma questa esposizione di immagini scompare poi nelle lontananze dell’universo.

Allora divengono visibili le controfigure spirituali

di tutte le azioni che abbiamo compiuto, retrocedendo fino alla nascita.

Tutto quel che abbiamo percorso diviene visibile in controfigure spirituali,

ma in modo che sentiamo immediatamente l’impulso

a rifare la strada e ripetere a ritroso tutte queste esperienze.

 

Chi va da Dornach a Basilea sa abitualmente che può anche andare da Basilea a Dornach, perché qui nel mondo fisico l’uomo possiede la corrispondente rappresentazione spaziale. Invece l’uomo non sa, nella sua coscienza abituale, mentre va dalla nascita verso la morte, che può andare dalla morte verso la nascita.

Altrettanto come nel mondo fisico, quando si va da Dornach a Basilea, si può ritornare da Basilea a Dornach, si può ora, come si va nella vita terrena dalla nascita alla morte, andare dalla morte fino alla nascita.

Questo si compie nel mondo dello spirito, percorrendo a ritroso le controfigure spirituali di tutte le esperienze che si sono attraversate qui durante la vita terrena.

 

Mettiamo che si sia avuta un’esperienza con un qualunque oggetto appartenente ad un regno naturale diverso da quello umano, per esempio con un albero: lo si è osservato, oppure lo si è abbattuto in veste di boscaiolo. Tutto ciò ha una controfigura spirituale; soprattutto ha un significato diverso per tutto l’universo, per il mondo spirituale, se si è semplicemente osservato un albero o se lo si è abbattuto oppure se si è fatto qualcosa d’altro con questa pianta: quello che si può sperimentare con l’albero fisico lo si è sperimentato nella vita fisica; quello che questa esperienza comporta come controfigura spirituale lo si sperimenta andando a ritroso dalla morte fino alla nascita.

 

Si è avuta un’esperienza con un altro uomo, mettiamo che gli si sia arrecato del dolore, allora vi è una controfigura spirituale già nel mondo fisico, che non è però la nostra esperienza: è il dolore che quell’altro ha patito. Per noi, forse, la causa di quel dolore fu origine di una certa sensazione piacevole, proprio per avergli arrecato dolore. Allora eravamo pieni di spirito di vendetta o di altro.

 

Adesso, mentre ripercorriamo la vita a ritroso, non riattraversiamo la nostra esperienza, ma la esperienza di lui, quella che egli ha vissuto a causa della nostra azione. Questa appartiene pure ad una controfigura spirituale ed è inscritta nel mondo spirituale. In breve, l’uomo rivive in maniera spirituale ancora una volta le proprie esperienze, risalendo dalla morte fino alla nascita.

 

Questo sperimentare è connesso, come dicevo ieri, col fatto che noi sentiamo

la partecipazione che vi portano entità che sono principalmente superumane.

• Mentre noi ci affanniamo in mezzo a queste controfigure delle nostre esperienze,

è come se continuamente grondassero giù le simpatie e le antipatie

delle entità spirituali, le quali appunto provano simpatia e antipatia

verso le nostre azioni, verso i nostri pensieri, nello sperimentare a ritroso.

 

E in questo sperimentare a ritroso,per ogni singolo atto che sulla Terra è stato compiuto ad opera nostra

in pensieri, in sentimenti, in impulsi di volontà o in azioni,

noi sentiamo quanto valga ogni singola cosa per l’esistenza orientata secondo lo spirituale nel suo insieme.

• Sperimentiamo nel più amaro dolore il danno arrecato da qualsiasi azione che abbiamo perpetrato.

• Sperimentiamo nella sete più ardentele passioni che abbiamo albergato nella nostra anima.

 

Noi continuiamo a sperimentarle, queste passioni, in forma di sete ardente,

finché abbiamo provato abbastanza l’inutilità, per il mondo spirituale,

del coltivare le passioni e ci siamo liberati dalla passionalità dipendente dalla personalità fisica sulla Terra.

Da questa osservazione può già risaltare istintivamente il confine tra l’animico ed il fisico.

 

Vedete, è facile per l’uomo considerare fisicamente che cosa sia sete o fame, poiché, certamente, sete e fame sono determinate alterazioni fisiche dell’organismo. Ma immaginatevi, invece, che le medesime alterazioni fisiche che avvengono in un organismo fisico umano quando esso ha sete, siano in un corpo inanimato; le medesime alterazioni potranno anche esservi, ma il corpo inanimato non proverà la sete. Potete analizzare chimicamente le alterazioni che sono in voi quando avete sete; portate quindi le medesime alterazioni, con un metodo qualsiasi, nelle stesse sostanze e nelle stesse connessioni di forze, in un corpo che non sia animato umanamente: esso non proverà sete.

 

La sete non è infatti qualcosa che viva nel corpo fisico,

la sete vive nell’animico, nell’astrale, attraverso alterazioni del corpo fisico.

Così è pure per la fame.

 

E quando uno sente nell’anima una grande attrazione per qualcosa che viene soddisfatto nella vita fisica mediante funzioni fisiche, allora è come quando ha sete qui nella vita fisica: l’elemento animico prova sete, sete ardente verso quelle cose che l’uomo si è abituato a soddisfare mediante funzioni fisiche. Ma non si possono esplicare funzioni fisiche, dopo aver deposto il corpo fisico.

 

Gran parte della vita dopo la morte, durante questa retrospezione che ho descritta,

scorre appunto per abituare l’uomo

a vivere nella sua costituzione animica e spirituale senza il suo corpo fisico.

• In un primo tempo egli prova continuamente sete ardente

verso quanto può essere soddisfatto solo mediante il corpo fisico.

• Come il bambino deve abituarsi ad adoperare i propri organi,

come deve imparare a parlare, così nella vita tra morte e nuova nascita

l’uomo deve disabituarsi dall’avere nel suo corpo fisico il fondamento delle sue esperienze animiche:

deve svilupparsi e crescere nel mondo spirituale.

 

Di questa esperienza, che dura un terzo del tempo che ha durato la vita fisica,

vi sono delle descrizioni che presentano tale esperienza come un inferno,

e viene la pelle d’oca a leggere tali descrizioni, per esempio nella letteratura della Società Teosofica,

nella quale questa vita è chiamata secondo l’uso orientale kamaloka.

 

Ma le cose non stanno così: se le si confronta immediatamente con la vita terrena,

possono effettivamente apparire così, perché sono del tutto inabituali,

perché subito ci si deve orientare tra le controfigure e i controvalori spirituali di quanto si è compiuto sulla Terra,

così che tutto quel che sulla Terra è stato vita piacevole, là è privazione, e invece un po’ di appagamento vi si trova

solo in quel che sulla Terra è stato inappagante e doloroso o fonte di patimenti.

 

Sotto molti aspetti quello che là si prova ha del pauroso, se lo si confronta con la vita terrena,

ma appunto non lo si può confrontare direttamente con la vita terrena,

perché non lo si vive nella vita terrena,

e perché dopo la vita terrena non si giudica più con concetti terreni.

 

Per esempio, quando sperimentate i dolori di un altro uomo, dolori che voi stessi gli avete arrecato,

esclamate subito, se così posso esprimermi, nell’esperienza dopo la morte:

“se non sperimentassi questo dolore resterei un’anima umana incompleta,

perché il danno da me apportato all’universo continuerebbe a mutilarmi.

Sarò un uomo intero soltanto quando avrò sperimentato il pareggio!”

 

A seconda della conformazione animica interiore

può essere che ci si adatti con difficoltà al giudizio post-mortem,

al giudizio che dopo la morte sia un bene sottostare ad una prova dolorosa per aver arrecato un dolore ad altri.

Può essere difficile adattarsi a questo giudizio;

ma vi è uno stato d’animo che lo rende più lieve ed è appunto quello

che già qui nella vita terrena insegna qualcosa sulla vita soprasensibile.

 

C’è uno stato d’animo che sente come beatificante questo doloroso pareggio

di una qualche azione perpetrata nella vita terrena,

perché mediante questo doloroso pareggio si progredisce nella perfezione della propria umanità.

Altrimenti si resterebbe indietro, nella perfezione della propria umanità.

 

Quando avete recato dolore ad altri siete diminuiti di valore rispetto a come eravate prima di averlo fatto,

perciò se giudicate razionalmente verrete a dirvi:

sono diventato per l’universo un’anima peggiore di quello che non fossi

prima di avere arrecato ad un altro questo dolore; valevo di più, prima di avergli fatto male.

• Sentirete quindi come un beneficio trovare, dopo la morte, il pareggio

nel patire anche voi stessi quel medesimo dolore.

 

Vedete, cari amici, questa è la terza fase di quella memoria che vive in noi.

• Questi ricordi che abbiamo portato in noi

vengono prima consolidati in figurazioni per alcuni giorni dopo la morte, per essere poi dispersi nel cosmo,

sicché la nostra vita interiore in forma di pensieri ritorna nel cosmo.

• Ma nell’universo stesso è inscritto in lettere spirituali quel che abbiamo vissuto,

e mentre abbiamo perduto quel che tenevamo imprigionato in noi come ricordi,

mentre ciò tendeva ad andare lontano, l’universo ce lo ridà dalle sue iscrizioni, dall’oggettività.

 

Non vi è una più valida prova del collegamento dell’uomo con l’universo di quella che sorge dopo la morte

per il fatto che prima veniamo tolti a noi stessi, in rapporto alla nostra vita interiore,

per essere poi dall’universo restituiti a noi stessi.

• Anche di fronte agli avvenimenti dolorosi del dopo-morte

si sente ciò come qualcosa che appartiene all’umanità nella sua totalità.

• Si può già dire che si ha la seguente impressione:

ciò che è stato interiore durante la vita terrena, l’universo se lo è preso per sé.

E ciò che abbiamo impresso nell’universo, questo ce lo ridà.

 

Proprio ciò cui non si è fatto attenzione, che si è trascurato,

ma che con chiari tratti si è trasferito nell’esistenza spirituale, questo ci restituisce il nostro proprio sé.

Poi, risalendo il corso della vita, attraverso la nascita si perviene nelle vastità dell’esistenza spirituale.

Il fatto di aver compiuto queste esperienze ci dà quel modo di essere per cui possiamo stare nel mondo spirituale.