La realizzazione pratica dei principii pedagogici nella libera Scuola Waldorf

O.O. 310 – Importanza della Conoscenza dell’Uomo per la Pedagogia e della Pedagogia per la Cultura – 21.07.1924


 

A questo punto delle mie considerazioni pedagogiche, desidero inserire alcune notizie sulle istituzioni della Scuola Waldorf che sono state create per tradurre nella realtà quei principii pedagogici da me qui esposti, e dei quali parleremo ancora più diffusamente in queste conferenze. La Scuola Waldorf di Stoccarda, sorta per iniziativa di Emil Molt, fu istituita nel 1919 nel senso della pedagogia antroposofica. Per questo riguardo, l’istituzione era assicurata dal fatto che l’organizzazione e la guida erano affidate a me. Perciò, descrivendone tutta l’organizzazione, si avrà in pari tempo un esempio di realizzazione pratica dei principii pedagogici dei quali qui si parla.

 

Anzi tutto, vorrei accennare a questo: l’anima di ogni insegnamento e di tutta l’educazione nella Scuola Waldorf sono in primo luogo le riunioni degli insegnanti, quelle riunioni, regolarmente tenute dal collegio degli insegnanti, alle quali anch’io assisto quando posso essere a Stoccarda. In queste riunioni non ci si occupa soltanto delle disposizioni esteriori relative alla scuola, ossia della compilazione degli orari scolastici, della divisione delle classi, eccetera, ma ci si occupa diffusamente di tutta la vita della scuola e di tutto ciò che dà anima alla vita della scuola. La Scuola è organizzata in maniera da impartire istruzione ed educazione sulla base della conoscenza dell’uomo, vale a dire sulla base della conoscenza delle singole individualità infantili. Perciò l’osservazione, l’osservazione psicologica, delle individualità infantili costituisce un momento essenziale di tutto lo svolgimento dell’insegnamento, nel caso singolo e concreto. Nelle riunioni degli insegnanti viene esaminato il singolo fanciullo per cercare di afferrare il carattere proprio della natura umana nell’individualità specifica del singolo bambino. Si deve pensare che ci si trova di fronte a tutti i gradi e le varietà possibili di attitudini e di forze animiche infantili. Si ha di fronte tutto ciò che può esservi nell’uomo-fanciullo, direi, dalle minorazioni psico-fisiologiche, fino alla genialità, speriamo poi confermata dalla vita.

 

Quando si vogliano osservare i fanciulli secondo il loro vero essere, si tratta soprattutto di conquistarsi lo sguardo psicologico necessario per l’osservazione del bambino. Tale sguardo psicologico non consta soltanto di un’osservazione grossolana delle singole facoltà infantili, ma innanzi tutto di una loro valutazione. Occorre infatti riflettere su quanto segue: si può avere un bambino apparentemente molto dotato per imparare a leggere e a scrivere o, per esempio, per imparare l’aritmetica o le lingue. Ma arrestarsi a questo e dirsi che il fanciullo è molto dotato poiché impara con facilità le lingue o l’aritmetica è una superficialità psicologica. Nell’età infantile, intorno ai sette, otto, nove anni, la prontezza con cui il bimbo impara può significare che un giorno egli diverrà un genio, ma può significare altrettanto bene che egli potrà diventare un ammalato di nervi, oppure malato in qualche altro modo. Quando si riconosce che l’entità umana, oltre al corpo fisico, manifesto agli occhi, ha in sé anche il corpo eterico che sta alla base delle forze di crescita e di nutrizione, e che fa crescere il bambino; se si considera inoltre che l’uomo ha pure in sé un corpo astrale in cui vigono leggi che non hanno più rapporto alcuno con quanto nel fisico, sulla terra, ha carattere rigenerativo, ma che anzi logora e distrugge di continuo il fisico affinché ci sia posto per lo spirito; e se ancora si riflette che all’uomo è legata l’organizzazione dell’io – di guisa che le tre parti superiori: corpo eterico, corpo astrale ed io, vanno altrettanto considerate come il corpo fisico visibile – allora ci si potrà fare un’idea di quanto sia complicato l’essere umano e come ciascuna delle sue parti possa agire in modo che, in qualsiasi campo, si possano avere talenti o manchevolezze, oppure anche talenti ingannevoli, passeggeri o patologici. Per questo dobbiamo imparare a discernere se una dote è reale e si svilupperà in modo sano, oppure se essa è tale da tendere al patologico.

 

Il maestro, l’educatore, che segua quella conoscenza dell’uomo di cui trattano le presenti conferenze, portando in essa la devozione, la prontezza al sacrificio e l’amore necessari, vedrà manifestarsi il fenomeno peculiare che, nel vivere coi fanciulli (non si fraintenda l’espressione, non deve servire per darsi delle arie), si diventa sempre più saggi. Direi che spontaneamente si trova come sia da valutarsi una qualsiasi facoltà o attività di un fanciullo. Si apprende appunto ad immedesimarsi completamente nella natura infantile, ed anche relativamente in fretta.

 

So che alcuni diranno: Se tu affermi che l’uomo possiede, oltre al suo corpo visibile, anche le parti soprasensibili – corpo eterico, corpo astrale ed io – in realtà potrebbe diventare insegnante soltanto il chiaroveggente che sia capace di percepire queste parti soprasensibili della natura umana. Ma non è così. Tutto ciò che dell’uomo può essere veduto mediante immaginazione, ispirazione e intuizione – quali le descrivo nei miei libri – poiché nel bambino si manifesta dappertutto nel suo organismo fisico, si può valutare anche a mezzo dell’organismo fisico stesso. Perciò è assolutamente possibile che un maestro o un educatore che semplicemente eserciti la sua professione in modo amorevole, sulla base di una vasta conoscenza umana, possa dire per esempio, in un determinato caso : qui si tratta di un fanciullo che è perfettamente sano per quanto riguarda il suo io, il suo corpo astrale e il suo corpo eterico; il corpo fisico però mostra in sé degli indurimenti, delle rigidezze tali da impedire al fanciullo l’esplicazione delle facoltà di cui dispone in ispirito, perché il corpo fisico gli è di ostacolo. Immaginiamo anche un altro caso: può darsi che in un fanciullo di sette o otto anni si manifestino delle caratteristiche precoci; si rimane sorpresi nell’osservare come egli impari precocemente una cosa o l’altra; si osserva tuttavia che il corpo fisico è troppo molle, ha in sé la disposizione ad una futura pinguedine. Se infatti il corpo fisico è troppo molle, se l’elemento liquido prevale su quello solido, accade che la parte spirituale animica si imponga con le sue caratteristiche, e abbiamo allora un fanciullo maturato anzi tempo che, con l’ulteriore sviluppo del corpo fisico, arresta la sua precocità, che può perfino modificarsi e diventare nella vita un uomo non soltanto di medie, ma addirittura di scarse capacità. In breve, si tratta del fatto che quanto si osserva esteriormente nel fanciullo deve prima esser valutato interiormente; sicché, parlando soltanto delle sue facoltà o manchevolezze, non se ne è ancora detto nulla.

 

Del resto, quello che dico può insegnarlo anche la biografia di uomini i più diversi. Si potrebbe citare un’intera galleria di uomini illustri nello sviluppo spirituale dell’umanità che più tardi, nel corso della loro vita, eccelsero per le opere loro, mentre da fanciulli furono reputati privi di talento e che, come si dice, non passarono la classe, vennero bocciati. Si trovano in proposito gli esempi più singolari. Si dà per esempio il caso di un poeta che, fino al suo diciottesimo, diciannovesimo, anzi al suo ventesimo anno di età, fu reputato dai maestri, dagli educatori che ebbero a che fare con lui, talmente poco dotato da sconsigliarlo di intraprendere studi superiori, appunto perché « così poco dotato ». Tuttavia egli non si lasciò trattenere, seguì ugualmente gli studi superiori, e ben presto fu nominato ispettore di quelle scuole in cui non si voleva, da giovinetto, lasciarlo accedere. C’è il caso di un poeta austriaco, Robert Hamerling, che si stava preparando per diventare insegnante di ginnasio. All’esame ottenne magnifiche votazioni in greco e in. latino, ma non fu ammesso ad insegnare il tedesco, perché i suoi componimenti furono trovati insufficienti. Eppure diventò un poeta celebre.

 

Potrei continuare a raccontare, e si vedrebbe come sia difficile scoprire nel bambino in via di sviluppo quanto egli realmente nasconda. Nondimeno ciò deve avvenire in una scuola che voglia educare ed istruire in maniera giusta. Perciò, appunto nella Scuola Waldorf, nelle riunioni degli insegnanti, si dà il massimo valore allo studio dei fanciulli affinché tutto il collegio degli insegnanti sia sempre edotto sul punto in cui si trova un bambino qualsiasi. S’intende che questo compito si amplifica sempre più perché la Scuola Waldorf, fondata alcuni anni fa con circa 150 allievi, conta oggi, con le sezioni che si dovettero istituire, circa 800 allievi divisi in più di 20 classi, con oltre 40 insegnanti. Tutto questo prova che la possibilità di procedere come ho descritto esiste soltanto se si educa lo sguardo per vedere quale fanciullo richieda una speciale attenzione. Poiché molti bambini sono così fatti che, quando li si è capiti, tale comprensione getta luce anche su altri bambini. Tuttavia alcuni non si possono facilmente comprendere se non attraverso la dedizione amorevole per la conoscenza dell’uomo che qui abbiamo esposta.

 

Più o meno a lungo, oppure per sempre, dobbiamo separare alcuni fanciulli dal resto della classe, quando essi siano intellettualmente manchevoli e quindi, con la loro incapacità di comprensione, disturbano gli altri. Essi vengono poi riuniti in una classe a parte per bimbi minorati; tale classe è diretta da un insegnante che ha pure parlato qui, il dott. Schubert, che, per il suo speciale essere, pare creato apposta per dirigere una classe siffatta. La direzione di iuta tal classe richiede infatti delle attitudini tutte speciali. Essa richiede davvero l’attitudine di sapersi immedesimare nelle qualità ani- miche rimaste impigliate nella corporeità e che non vogliono manifestarsi. Solo a poco a poco esse possono venir tratte alla luce. Siamo al confine della malattia fisica, al confine tra l’anormalità psicologica e la malattia fisica. Questo confine è però spostabile, non è qualcosa di definito. Si farà anzi bene se, di fronte ad ogni cosiddetta anormalità psicologica, si saprà volgere lo sguardo a quanto c’è di non sano nel fisico dell’uomo. Poiché, nel vero significato della parola, non esistono delle « malattie mentali », ma queste sono sempre condizionate dal fatto che il fisico non permette alla parte spirituale di esplicarsi, in un punto qualsiasi non la accoglie in sé al fine di elaborarla per il mondo fisico. Inoltre oggi, nelle scuole in Germania, non soltanto quasi tutti i fanciulli sono denutriti, ma soffrono da anni delle conseguenze della denutrizione.

 

Si tratta dunque veramente, in tutto il proprio atteggiamento, di poter eseguire un’osservazione unitaria della parte animica spirituale e di quella fisica corporea. La gente comprende con molta difficoltà che questa sia una necessità nell’educazione e nell’istruzione. Un uomo molto comprensivo, e sempre a contatto con le cose scolastiche, visitò una volta la Scuola Waldorf. Io stesso lo condussi in giro, per diversi giorni, ed egli si interessava molto ad ogni cosa. Ma dopo tutto quello che io gli andavo dicendo a proposito di un fanciullo o di un altro (si discorre per lo più di bambini e non di principìi astratti dell’insegnamento, poiché la nostra educazione si fonda sulla conoscenza dell’uomo), alla fine egli disse: « Sta bene, ma allora, veramente, tutti i maestri dovrebbero essere dei medici ». Io risposi: Non occorre, ma essi dovrebbero esser edotti, fino ad un certo grado, sulla costituzione fisica malata o sana del fanciullo, almeno per quanto è necessario al maestro per educare. Poiché il dire: Qualcosa non va perché…, oppure: Il maestro non può studiare una cosa o l’altra perché una cosa qualsiasi non è stata predisposta — a che cosa conduce? Bisogna appunto predisporre le cose opportune, e il maestro deve impararle. Questo è l’unico punto di vista possibile. Le cosiddette « facoltà normali » che l’uomo sviluppa, e che sono in ognuno, si studiano nel modo migliore nelle manifestazioni patologiche. E se conosciamo veramente un organismo malato in una determinata direzione, ci siamo creati le basi per imparare a conoscere un’anima « geniale ». Ma non come se mi mettessi dal punto di vista di un Lombroso o di altri simili; non è questo il caso; io non sostengo che un genio sia sempre malato, ma che si impara a conoscere la parte animica spirituale appunto studiando il corpo malato del fanciullo. Dalle difficoltà che incontra la parte spirituale animica ad esplicarsi in un corpo malato, si arriva a conoscere come l’anima, quando appunto si manifesta in modo speciale, afferra l’organismo.

 

Così dunque la pedagogia non confina soltanto con la facile patologia da applicare per i fanciulli minorati, ma confina davvero con la scienza patologica nel suo più ampio significato. Per questa ragione, nella nostra scuola, abbiamo introdotto anche il trattamento medico dei fanciulli. Ma non abbiamo un medico che sia estraneo alla pedagogia e che si occupi soltanto della medicina, bensì il nostro medico scolastico, il dott. Kolisko, è a sua volta insegnante in una delle classi. Egli prende parte a tutta la pedagogia della scuola, conosce tutti i ragazzi e sa quindi da quale angolo provenga un fenomeno patologico qualsiasi, in un fanciullo a lui ben noto; e tutto ciò ben diversamente da quanto potrebbe fare un medico che capiti nella scuola una volta tanto e giudichi con uno sguardo le condizioni sanitarie di un fanciullo. Inoltre, le riunioni degli insegnanti vengono regolate in modo che, nelle considerazioni fatte a proposito dei fanciulli, non si stabilisca confine alcuno fra la parte spirituale animica e quella corporea fisica. Ne consegue che l’insegnante deve acquisire via via una conoscenza che comprenda la totalità dell’uomo, lo deve cioè altrettanto interessare un particolare sulla salute o la malattia fisica, quanto ciò che spiritualmente è sano o anormale.

 

Ecco quanto noi tentiamo di raggiungere nella scuola: che ogni maestro nutra l’interessamento più profondo e la massima attenzione per tutto l’uomo. Di conseguenza i nostri insegnanti non sono veri e propri « specialisti ». Infatti non tanto preme, per esempio, che il maestro conosca più o meno bene la storia, quanto piuttosto che egli sia una personalità idonea ad influire sui fanciulli nel modo descritto, e possieda lo sguardo capace di rilevare come il bambino si sviluppi sotto la sua guida.

 

Dall’età di quattordici o quindici anni in poi, semplicemente per poter vivere, io dovetti sempre dare lezioni private; dovetti quindi elaborarmi questa pedagogia nella pratica immediata dell’insegnamento e dell’educazione. Per esempio, quando ancora avevo ventun anni, una famiglia mi affidò l’educazione di quattro ragazzi. Fra questi, quando entrai in quella famiglia come precettore, ve ne era uno di undici anni, idrocefalo al massimo grado. Egli aveva delle stranissime peculiarità. Non mangiava volentieri a tavola con gli altri, ma si alzava da tavola e andava in cucina dove era la pattumiera, e lì mangiava le bucce delle patate, pure con la sporcizia contenuta nel recipiente. A undici anni, ancora non sapeva quasi nulla. La famiglia aveva cercato, in base all’istruzione che egli aveva avuto in precedenza, di fargli dare l’esame di ammissione ad una qualche classe elementare. Ma quando egli ebbe presentato agli esami i suoi esperimenti, vi era soltanto un quaderno con un grosso buco provocato da una sua cancellatura. All’esame egli non aveva fatto altro, e contava già undici anni. I genitori se ne angosciavano. Essi appartenevano alla buona borghesia, e tutti dicevano: « Il ragazzo è anormale »; s’intende che tutti, in un caso simile, si sentono prevenuti contro un ragazzo di cui si parla così. Dicevano: « Bisogna che impari un lavoro manuale ; non può arrivare ad altro! » Entrai dunque in quella famiglia, ma veramente nessuno mi comprese quando esposi il mio proposito: « Se mi si affida il ragazzo in piena responsabilità, prometto di tirar fuori tutto quanto ce in lui ». Nessuno mi capì, eccetto la madre e, per naturale capacità di vedere, l’eccezionale medico di casa. Era lo stesso medico che più tardi, col dottor Freud, fondò la psicanalisi, nel periodo in cui questa si trovava ancora nel suo periodo migliore; in seguito, quando essa incominciò a decadere, egli se ne staccò. Tuttavia con lui si poteva parlare, e questo ebbe per conseguenza che il ragazzo venne educato ed istruito da me. Nel volgere di un anno e mezzo, la sua testa era diventata molto più piccola, ed egli era arrivato a tanto da poter essere mandato al ginnasio. Io lo seguii ancora nella sua carriera scolastica perché aveva bisogno di aiuto, ma egli aveva potuto, dopo un anno e mezzo, già entrare in ginnasio. Fu però necessario che la sua educazione venisse condotta in modo particolare: a volte mi occorreva un’ora e mezza per preparare quanto poi volevo insegnare al ragazzo in un quarto d’ora. Poiché era proprio questione di condurre con la massima economia di tempo la sua istruzione, di non spenderci mai più tempo di quanto non ne fosse necessario. Si doveva anche suddividere la giornata con la massima esattezza. Il ragazzo doveva dedicare tanto tempo alla musica, tanto alla ginnastica, tanto alle passeggiate, e così via. Io mi dicevo: Soltanto così è possibile eseguire col ragazzo quello che fa sorgere quanto vi è in lui. C’erano però dei periodi in cui quel sistema educativo mi dava molte preoccupazioni. Il ragazzo diventava pallido; eccetto la madre e il medico di casa, tutti dicevano: Costui ci rovina il ragazzo. Rispondevo che naturalmente io non potevo proseguire ad educarlo se qualcuno s’intrometteva; bisognava poter continuare come d’accordo. E si continuò. Il ragazzo fece il ginnasio, compì i suoi studi e divenne medico; morì prematuramente soltanto perché, chiamato sotto le armi durante la guerra mondiale, come medico, prese una malattia infettiva, per le conseguenze della quale in seguito morì. Tuttavia egli sapeva esercitare bene la sua professione di medico.

 

Cito tutto questo soltanto come esempio di come, nell’educazione, sia necessario tener conto di ogni cosa, per esempio anche di come un ragazzo ammalato di idrocefalia, sottoposto a un determinato trattamento, possa migliorare di settimana in settimana.

 

Si potrà certamente obiettare che in un’educazione fatta individualmente può darsi che così avvenga. Eppure può avvenire altrettanto bene in classi relativamente numerose. Poiché chi si immedesima con amore in quanto indichiamo come conoscenza dell’uomo, ben presto, anche in una classe numerosa, potrà acquisire per ciascun allievo l’attenzione rispondente ai bisogni dei singoli. Necessario è appunto lo sguardo psicologico, del genere qui descritto. Tuttavia non lo si acquista facilmente se si va per il mondo isolati, senza nutrire alcun interesse per il prossimo. Posso ben dire di sapere quanto io debba al fatto che mai nessun uomo fu per me « non-interessante ». Già quando ero bambino nessuno era per me « non-interessante ». E so che non sarei riuscito ad educare quel ragazzo se per me non fossero stati veramente interessanti tutti gli uomini.

 

Tale « ampliamento » d’interesse pervade, come un’atmosfera, le riunioni degli insegnanti della Scuola Waldorf sicché vi regna, se così mi posso esprimere, una « disposizione d’animo psicologica ». Ne viene che tali riunioni diventano davvero scuole di alta psicologia. È interessante osservare che di anno in anno il collegio degli insegnanti, come un’unità, arriva ad approfondire il proprio sguardo psicologico. A tutto quanto ho esposto fin qui, deve aggiungersi anche il fatto seguente, rilevato dall’osservazione delle singole classi. Noi non usiamo la statistica nel senso corrente, ma consideriamo le classi esseri viventi; non sono cioè tali soltanto i singoli allievi. Una classe, a sua volta, va studiata per proprio conto, ed è estremamente interessante osservare quali forze imponderabili si manifestano in essa. Allorché si fa oggetto di studio un’intera classe, e gli insegnanti delle varie classi parlano nelle riunioni delle peculiarità della loro classe, riesce cosa interessante, per esempio, il fatto che una classe – le nostre comprendono entrambi i sessi – è una creatura tutta differente, se conta più bambine che maschi, da un’altra classe in cui i maschi siano più numerosi delle bambine; risulta ancora un essere tutto diverso quando nella classe il numero di maschi e di femmine è equivalente. Ciò riesce straordinariamente interessante, non già per lo scambio di parole che ivi ha luogo o per la tendenza a piccoli amorucci che sempre si manifestano nelle classi superiori. Anche a questo proposito si acquista lo sguardo necessario per vedere dove è necessario e per non vedere quando non accorre. Ma a parte questo, veramente l’intimo essere imponderabile delle varie individualità maschili e femminili imprime alla classe ima ben definita struttura spirituale. E così s’impara a conoscere « l’individualità della classe ». Se poi, come nella Scuola Waldorf, si hanno sezioni diverse per ogni classe, può essere necessario – ma ben di rado lo è – modificare un poco la ripartizione fra le classi.

 

Lo studio delle classi come tali a sua volta fornisce l’argomento per le riunioni degli insegnanti. L’argomento delle riunioni non si riferisce così soltanto alle disposizioni scolastiche, ma è un proseguimento vivo della pedagogia nella scuola stessa, in modo che gli insegnanti imparano di continuo. Le riunioni divengono così l’anima di tutta la scuola. Si impara inoltre a valutare giustamente anche le cose insignificanti, a stimare adeguatamente le più salienti, e così via. Allora, se qualche errore, qualche trascorso commesso da un fanciullo è oggetto di esame, non se ne farà subito un problema capitale; d’altra parte si vedrà anche quando accade qualcosa che è di importanza per tutta la condotta della scuola. Come fenomeno complessivo, proprio della nostra Scuola Waldorf, risulta così qualcosa di molto interessante, emerso veramente soltanto col procedere degli anni : nell’insieme, cioè, i nostri ragazzi, in qualsiasi classe superiore, sono più avanti di allievi di altre scuole nell’apprendere ciò che si deve imparare a scuola; nelle classi inferiori, invece, come ho già detto, essi rimangono un poco indietro nel leggere e nello scrivere, perché questo insegnamento noi lo sviluppiamo in più anni e avviene con un metodo del tutto differente. Ma fra i tredici e i quindici anni, i nostri ragazzi cominciano a dimostrarsi più avanti in confronto ad allievi di altre scuole, per ima certa facilità di penetrare a fondo un argomento, oppure per l’abilità nell’apprendere, e così via.

 

A questo punto sorge una grave difficoltà. È singolare, ma ogni volta che c’è una luce, gli oggetti proiettano dell’ombra: debole, se debole è la luce; forte, se la luce è forte. In relazione a certe qualità animiche, emerge così il fenomeno seguente. Se non si bada con la massima cura a far sì che gli insegnanti abbiano in ogni modo contatto con gli scolari, di guisa che essi rappresentino realmente dei modelli e che i fanciulli si attengano realmente all’esempio di quei modelli, in tal caso possono verificarsi molto facilmente delle deviazioni morali in conseguenza del contatto mancato. Non ci si possono permettere illusioni a tal proposito, è così. Importa perciò moltissimo che abbia a svilupparsi una fusione completa fra le individualità degli insegnanti e quelle degli allievi; di modo che, mediante questa piena e intima aderenza dei ragazzi ai maestri, al progresso ulteriore degli imi corrisponda pienamente l’ulteriore progresso degli altri.

 

Queste cose vanno senz’altro studiate intimamente, umanamente, amorevolmente; in caso diverso non mancheranno sorprese. Il metodo è però tale da estrarre tutto ciò che esiste in un uomo. Certo che a volte si palesano dei fenomeni curiosi: un poeta tedesco sapeva di esser stato educato ed istruito assai male e che molte delle sue caratteristiche — e se ne lagnava sempre — non riuscivano a manifestarsi, ora che il suo corpo era già diventato rigido e duro; in gioventù infatti non si era badato a che la sua individualità si sviluppasse. Costui un bel giorno andò da un frenologo (non si creda che io voglia difendere o lodare la frenologia; essa ha pure la sua importanza se viene esercitata intuitivamente). Il frenologo lo tastò e gli disse varie belle cose che davvero esistevano; ma ad un certo punto, nel tastare il cranio, si fermò di botto, arrossì, non osando più parlare. Allora il poeta gli disse: « Su, su, dica pure : è il senso ladresco ! so che è in me ; e se a scuola mi avessero educato meglio, si sarebbero avute anche per esso le massime difficoltà ».

 

Quando si vuol educare bisogna anche avere una certa libertà. Ma non la si ha, se nella scuola è in uso, nel modo consueto, quell’orrendo orario scolastico: dalle 8 alle 9 religione, dalle 9 alle 10 ginnastica, dalle 10 alle 11 storia, dalle 11 alle 12 aritmetica. In questo modo ogni cosa nuova annulla la precedente, non si conclude nulla, e l’insegnante dispera di poter portare qualcosa a termine. Per questa ragione, nella Scuola Waldorf, noi seguiamo quello che si potrebbe chiamare l’insegnamento a periodi. Il bambino entra in una classe e ogni giorno, soprattutto nelle ore antimeridiane, dalle 8 alle 10 o dalle 8 alle 11, gli si impartisce l’insegnamento di una sola materia principale, con intercalate brevi pause di riposo. In ogni classe c’è un solo insegnante, anche nelle classi superiori. La materia d’insegnamento non cambia ogni ora, ma si impiegano per ogni materia da insegnare, per esempio l’aritmetica, diciamo quattro settimane. Ogni giorno, dalle 8 alle 10 ci si occupa della materia in corso, il giorno seguente riallacciandosi agli argomenti trattati il giorno prima. Nessun argomento successivo annulla il precedente, e la concentrazione è resa possibile. Passate così quattro settimane, trattata e finita a fondo una parte dell’aritmetica, si incomincia un periodo di storia sul quale, a sua volta, ci si sofferma per quattro o cinque settimane, a seconda delle necessità, e così avanti. Si fa cioè esattamente l’opposto di quanto si chiama sistema ad insegnanti specializzati. Per esempio, visitando la Scuola Waldorf, può capitare di trovare in una classe il nostro dott. Baravalle, mentre spiega la geometria descrittiva. Gli allievi gli siedono di fronte nei banchi, con davanti le tavolette da disegno; egli li guida nel disegno e si comporta come il più esemplare insegnante specializzato di geometria. Ora, se si va in un’altra scuola, si vede invece che tutto procede secondo un orario schematico diviso per insegnanti, e si trova per esempio, accanto al nome di uno, la notazione « interrogazione di geometria », o « matematica », e così via (ho conosciuto moltissimi insegnanti, per esempio di matematica, che si vantavano, durante una gita scolastica, di non sapere dire ai ragazzi i nomi delle piante). Da noi invece, la mattina non è ancor tutta trascorsa, e si può trovare poco dopo lo stesso dott. Baravalle, sempre nella sua classe, che se ne va fra i banchi insegnando l’inglese. Esattamente come qui, nelle sue conferenze, egli parlava di metodologia, trattando non so quanti mai argomenti, senza che fosse possibile indovinare di quale materia egli fosse veramente insegnante. Alcuni avranno creduto che la sua materia d’insegnamento fosse la geografia, altri la geometria o altra materia simile. Il fatto è che la caratteristica, la sostanza, il contenuto di una materia d’insegnamento può acquisirsi in fretta, quando si abbia in genere la disposizione ad arrivare a qualsiasi conoscenza, a poter sperimentare nell’anima qualsiasi cosa, conoscendo. Così dunque non insegnarne ad orario, ma dividiamo l’insegnamento in periodi. S’intende, mai in modo pedante. L’insegnamento principale, nella Scuola Waldorf, è suddiviso in periodi; tuttavia varie cose debbono esser insegnate in base ad un orario, e si aggiungono quindi all’insegnamento principale.

 

Teniamo anche moltissimo che subito, appena entrano nelle nostre classi elementari, ai bimbi vengano insegnate due lingue straniere: francese ed inglese. Iniziamo fin dalle prime classi. Indubbiamente, per questa causa, nella nostra scuola abbiamo grandi difficoltà poiché, dalla sua fondazione, la scolaresca è sempre in aumento. Capitano cosi alunni che potrebbero venir ammessi alla sesta classe; ma in questa vi sono ragazzi già assai progrediti nelle lingue. Quando ne giungono dei nuovi, ecco allora che siamo costretti a metterli nella quinta perché non hanno conoscenza alcuna di lingue straniere. Dobbiamo sempre tener conto di difficoltà di questo genere. Cerchiamo di mettere l’insegnamento principale al mattino, e di lasciare per il pomeriggio gli esercizi corporei; ginnastica, euritmia, eccetera, ma senza pedanteria. Anche perché, non essendo possibile retribuire un numero illimitato di insegnanti, non si può fare tutto esclusivamente secondo l’ideale, ma soltanto secondo le possibilità. Non vorrei esser frainteso se dico che con degli ideali non si può iniziare nulla. Non si affermi per questo che l’antroposofia non è idealistica. Noi ben sappiamo apprezzare gli ideali, ma con gli ideali non si può cominciare nulla. Possiamo figurarceli e dirci: così deve essere! Possiamo anche illuderci di tendere verso di essi. Ma nella realtà, si ha una ben definita e concreta scolaresca, quegli 800 allievi che occorre conoscere, e si hanno da 40 a 50 insegnanti che pur essi bisogna conoscere. Certo, serve poco un collegio di insegnanti se nessuno di essi corrisponde all’ideale! L’essenziale è comunque di contare con quanto davvero può venir fatto, vale a dire con quanto esiste. Allora ci si muove nella realtà. Volendo realizzare praticamente qualcosa, si tratta di muoversi nella realtà. Tutto ciò sia detto a proposito dell’insegnamento diviso in periodi.

 

Circa l’attuazione libera dell’insegnamento, quale deve risultare da tutto quanto vado dicendo, ne risulta naturalmente che i nostri ragazzi non sempre stanno seduti quieti e tranquilli. Si deve piuttosto vedere come tutta la costituzione animica e morale di una classe sia il risultato di chi ci sta dentro; cosa che, a sua volta, dipende da cause imponderabili. Sotto questo aspetto può ben capitare che anche nella Scuola Waldorf ci siano maestri che non soddisfano appieno; ora non ne voglio parlare perché potrebbe nascerne un malinteso — ma può capitare di entrare in ima classe dove un quarto degli alunni è sotto i banchi, un quarto sopra e gli altri corrono continuamente fuori dell’uscio e bussano da fuori. Queste cose però non ci debbono sconcertare; andranno poi diversamente quando si saprà prendere i ragazzi nel giusto modo. È assolutamente necessario lasciare ai fanciulli ciò che in essi è in movimento, e intendersi con loro in altro modo, senza ricorrere ai castighi. Nella nostra scuola non si usa comandare, ma tutto si sviluppa spontaneamente, appunto perché gli insegnanti hanno in sé quanto ho descritto, lo hanno come loro vita. Certo che i ragazzi fanno a volte un chiasso infernale; ma questo mostra soltanto la loro vitalità. In compenso, sono poi attivi per quanto essi debbono fare, purché si sappia destare il loro interesse per la cosa. E così deve essere: per un bambino cosiddetto buono, bisogna avvalersi delle sue buone qualità perché egli impari qualcosa; e con un disutilaccio bisogna avvalersi perfino delle sue qualità negative per mandarlo avanti. Non si va avanti sapendo sviluppare soltanto tutte le qualità positive. Capita talvolta di dover sviluppare anche le qualità meno lodevoli; occorre però saperle dirigere. Infatti, nelle cosiddette qualità negative spesso giace ciò che costituisce la forza dell’uomo adulto, che nell’adulto può sbocciare nel massimo bene, purché lo si sappia trattare giustamente.

 

E così pure dobbiamo distinguere se un fanciullo ci affatica poco perché è buono, oppure perché è malato. Se teniamo conto soltanto del nostro comodo, possiamo facilmente rallegrarci tanto per un bimbo malato, che se ne sta quieto senza scatenarsi, quanto per un bimbo buono, che non ci dà nulla da fare. Ma se guardiamo realmente nella natura umana, un bimbo siffatto potrà spesso darci da fare assai più che non un cosiddetto disutilaccio. Dunque, anche qui l’importante è lo sguardo psicologico e l’attenersi ad esso, naturalmente in senso spirituale animico.

 

Inoltre è importante che nella Scuola Waldorf la parte essenziale dell’insegnamento venga svolta nella scuola stessa. I compiti da fare a casa, che troppo spesso gravano i fanciulli, sono ridotti al minimo possibile. Nascono talvolta opinioni stranissime nei bambini, usi ad elaborare ogni cosa assieme agli insegnanti. Per esempio è avvenuto, in modo del tutto caratteristico, che alcuni scolari facessero un malanno; l’insegnante, non ancora del tutto compenetrato della nostra pedagogia, volle punirli in modo speciale, e disse loro: « Terminata la scuola, rimarrete qui a fare ancora dei calcoli !» — I bambini però non afferrarono che il far dei calcoli potesse essere un castigo, perché era cosa a cui si applicavano con la massima gioia. La classe intera allora – è cosa proprio accaduta – chiese di poter rimanere anch’essa. E così è finito un castigo!

 

I punti di vista si modificano, e in verità un fanciullo non dovrebbe sentirsi punito dall’obbligo di eseguire qualcosa cui dovrebbe dedicarsi con devozione, soddisfazione e piacere. I nostri insegnanti ne escogitano di ogni genere, per metter riparo al male. Per esempio, al nostro dott. Stein, che in proposito ha molta inventiva, accadde una volta, mentre insegnava in una classe superiore, che i ragazzi, durante la lezione, si scrivessero delle letterine e se le passassero. Che fa egli per rimediare? Prende a parlare della posta in genere e ne spiega tutta l’essenza di modo che, come conseguenza, a poco a poco cessa la circolazione delle lettere. In apparenza, la descrizione dell’organizzazione postale, la storia della nascita della corrispondenza, nulla aveva a che fare con la birichinata osservata dal maestro, e tuttavia vi era una relazione. Se non ci si chiede in modo razionalistico come risolvere il problema, ma si è in grado di seguire le proprie intuizioni, perché si ha un istinto di come ci si debba comportare in classe, allora spesso viene da sé il giusto comportamento; così si può agire per il miglioramento morale degli scolari molto più efficacemente che non per mezzo di castighi.

 

E soprattutto l’intera classe, in ogni singolo scolaro, deve essere ben convinta che quello che l’insegnante espone è vero anche per l’insegnante stesso. Non deve mai succedere che un ragazzo collerico, che scribacchia e sporca tutti i suoi fogli, che tira le orecchie e i capelli dei suoi vicini, venga così apostrofato dal maestro: « Non devi esser così violento ! Non devi lasciarti andare così! Ragazzaccio, se vai fuori dai gangheri a quel modo una sola volta ancora, io ti tiro il calamaio in testa … » Qui è detto in modo estremo, ma son casi che avvengono, quando non si sappia che tutto quanto si insegna nella scuola, come esempio, bisogna esserlo in sé stessi. Importa molto più quello che si è che non avere delle teorie e delle cognizioni. Tutto dipende da come si è. Se all’esame col quelle si deve dimostrare la capacità di fare l’insegnante, qualcuno viene esaminato soltanto su quanto « sa », in tale esame egli risponderà soltanto quel che più tardi potrà ritrovare in ogni manuale. Cosa che si può anche fare al momento, ma per la quale non è necessario fare un esame. Nessuno, invero, dovrebbe entrare in una scuola senza essere, in corpo, anima e spirito, una vera individualità di insegnante Perciò posso dire che, nel comporre il collegio degli insegnanti della Scuola Waldorf, incombenza mia, io non considero impedimento se qualcuno ha pure superato gli esami, ma in tal caso io lo osservo, sotto certi aspetti, con ancora maggior attenzione che non un altro il quale, in tutto il suo comportamento umano, mi porti incontro l’individualità di un maestro. Dà sempre un po’ da pensare il fatto che si siano sostenuti degli esami; in tal caso si può anche esser un uomo passabilmente assennato, ma allora bisogna appunto esserlo, malgrado gli esami sostenuti.

 

È meraviglioso come anche qui operi il destino, il karma.

La Scuola Waldorf infatti, così come ha da essere, vale a dire un esempio determinato di questa speciale pedagogia fondata sulla conoscenza dell’uomo, poteva nascere soltanto nel Württemberg, e in nessun altro luogo, poiché là, nel momento in cui fondammo la scuola vigeva ancora una legge scolastica antichissima. Se già allora fosse stata attuata « l’idea luminosa » che partì più tardi dall’Assemblea Nazionale costituente di Weimar, e con la quale idea noi dobbiamo lottare senza interruzione perché ci vorrebbero togliere le prime classi elementari, allora non avremmo potuto fondare la Scuola Waldorf. Sempre meno infatti si giudicano gli insegnanti secondo le loro individualità umane, invece che secondo i loro diplomi. Nelle prime classi elementari sempre meno si potranno attuare nuove iniziative, perché il mondo lavora – come debbo dire – per la « libertà », per la « dignità umana » ! Questa dignità poi, con l’aiuto dei programmi e dell’orario d’insegnamento, viene applicata nella scuola in maniera tutta speciale. Nella capitale di un paese ha sede un Ministero dell’Istruzione. Ivi, in base all’esatta ripartizione che si è data a tutta la scuola con le sue diverse disposizioni, si sa che cosa viene insegnato in ogni scuola e in ogni classe. Dopo di che, in un qualche angolo dello Stato, c’è un paese con una scuola, e se dunque si vuol sapere che cosa s’insegna appunto in un giorno qualsiasi alle nove e mezzo del mattino nella quinta elementare, si guarda al Ministero come siano le disposizioni e si può dire allora che cosa là si sta insegnando.

 

Nella nostra scuola, invece, ci sono per esempio due quinte, la 5* A e la 5‘ B. Orbene, entrando prima in una e poi nell’altra, si rimane sorpresi di come sia totalmente diverso quanto si svolge in una classe da quanto vien fatto nell’altra. Le due quinte sono completamente lasciate all’individualità dell’insegnante; ciascuno può fare quello che meglio risponde alla sua individualità, e così infatti ognuno si comporta. Sebbene nelle riunioni degli insegnanti ci sia perfetto accordo per le cose oggettive, non c’è nessuna disposizione affinché, nello educare e nell’insegnare, una classe debba procedere come la classe parallela. I risultati da raggiungere devono venir conseguiti nei modi più diversi; non è mai questione di impartire disposizioni in modo esteriore. Così, per esempio, con i piccini della prima classe, uno dei maestri fa di più per condurre al disegno colorato: si entra nella classe e si vedono i bimbi fare con le mani movimenti vari, tali da guidarli poi al maneggio del pennello o della matita. Oppure si entra nell’altra classe, e si trovano i bambini che stan ballando in giro, per ottenere la stessa cosa dal movimento delle gambe. Ciascun insegnante si regola nel modo che meglio ritiene adatto alla individualità dei fanciulli e alla propria. Così c’è vera vita nella classe, così va già formandosi quanto fa sentire i bambini legati all’insegnante.

 

Naturalmente c’è una sorveglianza anche nel Württemberg, malgrado quella vecchia legge scolastica, ma abbiamo sempre trovato un’intesa con gli ispettori scolastici. Furono sempre di un’illimitata comprensione, e tutto fu approvato quando si videro i risultati. Avvengono però anche fatti speciali. Per esempio una volta una commissione scolastica capitò in una classe dove la maestra aveva sempre avuto da penare per tenere la disciplina durante le lezioni. Arriva dunque la commissione ministeriale, e la maestra rimane molto sorpresa dalla condotta esemplare della classe, sotto ogni aspetto. Sicché il giorno dopo non potè che dire: « Ragazzi, ieri siete stati bravi davvero ! » al che tutta la classe rispose : « Ma certo, signorina, noi non faremmo mai fare ima cattiva figura a lei! » — Dal contegno della scolaresca sorge appunto qualcosa di imponderabile quando viene seguita la norma che pongo anche ora e sempre alla chiusa di ogni conferenza. Quando l’insegnamento e l’educazione consistono nel trasferire vitalmente la vita nella vita, allora ne germoglia pure vita che cresce e che prospera.